Pastori che sfolgorano
Un presepe vivente
La notte del 25 dicembre 1223, a Greccio, Francesco d’Assisi realizzò un desiderio a cui teneva molto: ricreare, nel cuore della valle reatina, il clima commosso e straordinario in cui nacque Gesù a Betlemme, celebrando la Messa di mezzanotte in una grotta, tra il bue e l’asinello; voleva così immedesimarsi pienamente in quel miracolo dell’amore che Gesù Bambino aveva realizzato sulla terra. Dicono le Fonti che, quella notte, «giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. […] La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. […] In quella circostanza, a Greccio non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano lì presenti, e […] da quel presepe del Natale 1223 ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (Francesco, Admirabile signum, 2).
Se in tale circostanza gli abitanti di Greccio divennero i “nuovi pastori” di una rinnovata notte di luce, esattamente ottocento anni dopo, questa notte, tocca a noi essere “pastori” che, allertati da un angelo, partecipano a un evento meraviglioso. Un evento che vuole stravolgere non più le vicende storiche di un popolo di duemila anni fa – come fu la nascita storica di Gesù – né quelle di una tranquilla cittadina laziale di ottocento anni fa, come fu per l’evento di Francesco. Al contrario, questa notte noi siamo destinatari dell’annuncio che qualcosa di diverso sta avvenendo – oggi, e soltanto oggi – nella nostra vita. Vi prego, per un istante, di soffermarvi proprio su questo: Natale accade adesso, questa notte. Perché solo se partiamo da qui possiamo rivivere ciò che fu proprio di Maria e Giuseppe a Betlemme e di Francesco a Greccio.
L’angelo, la luce e i pastori
Afferma sant’Ambrogio che nella notte di Natale la mangiatoia “rifulse” ed “effuse una nuova luce” (praesepe iam fulget tuum lumenque nox spirat novum): dal presepe si irradia una “novità” che trasforma ogni “notte”, a cominciare da quella dei pastori che vengono avvolti da questa luce. Sì, perché Gesù non appare per primo ai discepoli, ai sapienti d’Israele, ai dottori del tempio e neppure ai magi… bensì ai pastori. Sono loro i primi destinatari di un messaggio nuovo. Il Natale di Gesù e il presepe di Francesco insegnano così una sacrosanta verità: quanto più uno è povero e semplice, tanto più è destinatario della grazia divina.
Nell’annuncio dell’angelo ai pastori c’è il conforto che questa notte ci viene donato. Dirà Gesù, una volta cresciuto: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Mt 11,28), voi che sentite il peso della vostra fatica; voi che, neanche di notte, riuscite a riposare, appesantiti dalle preoccupazioni per un “gregge” che pascola nell’incertezza.
Le notti insonni dei pastori di oggi
Penso, in questa notte, ai tanti genitori, che non riescono a chiudere gli occhi pensando alle preoccupazioni che si addensano per la vita e la crescita, qualche volta turbolenta, dei propri figli, non sempre protetti da questo mondo che cambia così rapidamente. Penso, in questa notte, ai giovani, il cui cammino così ricco di entusiasmo si scontra tante volte con il buio di sogni difficili da realizzare, di un lavoro complicato da raggiungere, di una serenità economica difficile da ottenere. Penso, in questa notte, a chi è sopraffatto dalle tenebre della povertà, che come uno spettro si aggira nell’oscurità che sembra non più finire, rendendo incerto ogni domani, la fine del mese, le incombenze economiche che sopraffanno la speranza. Penso a chi vive la lunga notte della malattia, sua o dei propri cari, davanti alla quale risulta complicato non cedere alla rassegnazione. Penso a tutti noi, quando la vita ci appare come una lunga notte della quale difficilmente riusciamo a intravedere l’aurora.
Sono questi i pastori del presepe, sono questi i pastori del Vangelo.
Rappresentano quel «popolo che vaga nelle tenebre» (Is 9,1) di cui parla Isaia nella prima lettura, che porta un giogo che opprime, una sbarra che pesa, una scure pronta a cadere sulla testa…
Ma in questo presepe ci sono anche pastori con i “mantelli intrisi di sangue” (Is 9,4), ricorda sempre il profeta Isaia. Quanti mantelli macchiati anche oggi, quanto sangue viene sparso senza alcun motivo! Penso alle vesti insanguinate delle guerre, in Terra Santa come in Ucraina come in tante altre parti del mondo… anche se a volte non sembriamo molto interessati, sono stati 170 i conflitti durante l’anno che sta per finire! Penso alle vesti insanguinate delle tante donne uccise, una vera piaga per la nostra cultura che desidera definirsi civilizzata. Penso alle vesti insanguinate di chi muore mentre lavora, anche qui vicino a noi, fino a quelle vergognose di chi sfoggia mani limpide e pulite, ma nel cuore uccide e ferisce senza sosta.
Sono anche questi i pastori del presepe, sono anche questi i pastori del Vangelo.
In questa moltitudine di pastori, sia buoni che cattivi, ci siamo anche noi. Quella luce che è apparsa a Betlemme, a Greccio, appare anche stanotte ed è pronta ad abbagliare tutti, nessuno escluso. Dio non viene a condannare, ma a salvare, a «portare salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11), dice Paolo nella seconda lettura.
Nel presepe, in ogni presepe, anche in quello che qui stanotte realizziamo seduti nei banchi di questa chiesa, non vi sono pastori illuminati dalla luce e altri no: la luce splende per tutti, buoni e cattivi. È illuminato il pastore con la pecora sulle spalle così come il cacciatore; è illuminato lo zampognaro così come il soldato; è illuminato il mercante così come il ladro. Questa luce, stanotte, si riaccende per tutti, perché Dio «ha illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo» (Colletta).
Essere come i pastori
Per far questo, perché la nostra notte si colori di aurora, c’è bisogno che impariamo dai pastori:
anzitutto il coraggio di vegliare tutta la notte, cioè senza mai mollare la presa, senza mai cedere alla disperazione, senza mai pensare che per noi non c’è più speranza né opportunità alcuna. La luce arriva per chi ha il coraggio di attendere tutta la notte, non per chi fugge. Le nostre notti, le nostre oscurità, possono anche essere lunghe ed estenuanti… ma se abbiamo il coraggio di resistere, anche per noi sorgerà con raggi benefici l’aurora della giustizia!
poi, ci vien chiesto di imparare dai pastori la perseveranza nel vegliare il gregge. I pastori ci invitano a non pensare solo a noi stessi, ma a comprendere che c’è un gregge che ci viene affidato, che siamo tutti responsabili gli uni degli altri. Siamo parte di una grande umanità che il Signore ha salvato e ha affidato alle nostre semplici mani: Dio, che si è messo nelle mani umane di Maria, chiede a noi di accogliere, con le nostre povere mani, tutto ciò che ci circonda. Quanto ci sentiamo responsabili degli altri? Di chi sta messo peggio di noi? Di chi questo Natale vive una notte ancora peggiore della nostra? Di chi ha bisogno del nostro incoraggiamento per arrivare a vedere l’aurora? Impariamo a prenderci cura del gregge: è la nostra famiglia, il nostro vicino di casa, la nostra città, il mondo in cui viviamo… Dio lo affida ad ognuno noi!
infine, i pastori ci propongono di credere a un segno. «Questo per voi il segno» (Lc 2,12), dicono loro gli angeli. Sì, perché il Natale è solo un segno: Gesù non nasce questa notte, egli è già nato, morto e risorto. Ma questa notte ci offre, di nuovo e per l’ennesima volta, un segno. Il segno che da ogni notte si può uscire e che, sempre, dopo le tenebre, sorge sempre una nuova alba.
Gesù, stanotte, diventa il segno di un’alba nuova che desidera sorgere nella nostra vita.
Sta a noi decidere e fidarci, per essere come quei pastori poveri, incapaci, peccatori, imperfetti… ma ricchi di una luce che entra nel cuore e non esce mai più. Tutto ciò vogliamo vivere in questa notte, mentre ci uniamo ai pastori del presepe e agli angeli, e insieme con loro cantiamo Gloria a Dio nel più alto dei cieli.
Buona notte, buon Natale!