Come fosse sempre il primo giorno
C’è un primo giorno che celebriamo la domenica di Pasqua. Non l’ultimo, come potrebbe sembrare dopo una Quaresima e l’intensità dei giorni del triduo… ma il primo. È il primo perché da qui che nasce ogni cosa e, se lo vogliamo, ogni cosa quest’oggi rinasce, cioè risorge.
La Pasqua è la possibilità di guardare ogni nuovo giorno come se fosse sempre il primo.
Abbiamo sbagliato? Si riparte. Siamo caduti? Si riparte. Vogliamo fare di più? Si riparte. Possiamo essere migliori? Si riparte. È il primo giorno che il Signore ci propone e, come un terremoto, distrugge ogni cosa che ci tiene prigionieri.
In questo primo giorno il Signore non appare subito, ma si fa annunciare – secondo il Vangelo di Matteo – da un angelo che ribalta la pietra e vi si siede sopra.
Se tante volte abbiamo l’impressione che il Signore ci sfugga, che sia irraggiungibile, che nonostante i nostri sforzi non riusciamo mai ad afferrarlo… proviamo intanto ad accogliere quest’angelo.
Quell’angelo che per ognuno di noi è diverso, che ha sembianze molteplici, che si avvicina a noi col volto di un amico, di un familiare, del fidanzato o della fidanzata, dello sposo o della sposa, dei figli, di un vicino o di un collega, di un consacrato, di un avvenimento… per dirci una cosa davvero importante: che la pietra non c’è più!
Matteo è l’unico tra i quattro evangelisti a consegnarci quest’immagine caratteristica: un angelo seduto su di una pietra, con lo sguardo sornione, i piedi penzoloni, che dice alle donne: “Svegliatevi, non abbiate paura! Le tombe sono vuote, le pietre sono tolte: cosa aspettate a trovare il Signore, e soprattutto i suoi fratelli?”
Lo dice alle donne, quest’oggi, non alle guardie che pure stanno lì. Perché le donne, a differenza degli altri, sono tra coloro che “cercano”: “Non abbiate paura, so che cercate…”.
Oggi ci siamo noi al posto di quelle donne, siamo noi i fantastici “cercatori” del volto di Dio; quelli che, proprio come loro, a volte siamo imbambolati a guardare il mondo, paralizzati dalle nostre paure, chiusi in quelle tombe che, nonostante il Signore scoperchia, noi ritappiamo. Oggi siamo noi chiamati a non avere paura e ad annunciare ai fratelli che dalle tombe si esce, dalla paura si esce, dai limiti che ci schiacciano si esce, dal dolore che ci attanaglia si esce.
E non per i nostri meriti o le nostre capacità, ma per la risurrezione di un uomo che è venuto nel mondo a portare “salute” ai suoi discepoli: “Salute a voi!”.
Una sola raccomandazione l’angelo consegna alle donne e quest’oggi anche a noi: “come aveva detto” (Mt 28,6). Ci chiama, l’angelo, a non disperdere ciò che il Signore ci ha detto nella sua Parola, ciò che in questi giorni e continuamente ci ha detto nella celebrazione della liturgia, ciò che impariamo e il Signore ci dice nella carità fraterna. “Come aveva detto” è un pressante invito a non smettere mai di ricordare quel che il Signore ha fatto per noi. “Questo è il giorno – il primo – che il Signore ha fatto per noi”.
Come abbiamo tentato di fare in questi giorni di Pasqua, come dobbiamo fare sempre.
Perché il ricordo, unito alla gratitudine, ha la potenza di rimuovere ogni pietra, spalancare ogni sepolcro, donare gioia vera e piena ai discepoli, uomini e donne, di ogni luogo e di ogni tempo.
Buona Pasqua!